Le “due nature” del bambino

Nel 1933 Montessori tiene un corso a Londra e in una delle sue lezioni[1] rivela ai partecipanti di aver “scoperto”[2]  una natura più profonda di quella che solitamente appare “nelle circostanze ordinarie” e che “sono richieste speciali condizioni perché si riveli e si sviluppi”. Mi stupisce moltissimo il fatto che in questo testo la dottoressa parli di questa natura come di qualcosa che non era mai stato visto “prima”, che lei ha colto fin dall’inizio del suo esperimento e che ha iniziato fin da subito a condividere. Eppure mi sembra che anche oggi per noi adulti quella natura sia ancora così difficile da vedere!

Vorrei lasciarmi guidare da questo breve testo per far emergere un paio di considerazioni che penso profondamente possano orientarci ancora oggi nella nostra pratica educativa.

Immagino come durante il corso Maria Montessori fosse presa dall’urgenza di dare gli strumenti per distinguere queste due nature. E così elenca in modo molto chiaro, diretto e circostanziato alcune caratteristiche della prima natura, quella più facilmente visibile in “circostanze normali”. Il bambino è disordinato nei movimenti, non riesce a contenere il movimento del corpo e così urta spesso contro oggetti o altri bambini e rompe le cose. Oggi potremmo anche dire che non riesce ad inibire il movimento, a controllarlo a seconda dei contesti in cui si trova, a mantenere una postura consona a ciò che sta facendo. Parla di bambino “disubbidiente”, non disciplinato e lo immaginiamo “irrequieto” e spinto da un disordine interiore per cui non riesce a finalizzare il movimento al lavoro, rispondendo ad una volontà interiore. Ci parla di un bambino che “dice bugie”, ingordo[3] e molto attaccato alle cose che possiede. Ci dice anche di un bambino estremamente dipendente dall’adulto, che cerca continuamente la sua compagnia o da cui dipende per fare quello che lo concerne. Non esclude un attaccamento di tipo emotivo che va quindi soddisfatto, ma è più propensa a pensare a questa dipendenza come un carattere deviato del bambino. Ci presenta un bambino con tante paure, prima tra tutte quella di rimanere “da solo al mondo”. Nel lavoro questo bambino si mostra svogliate, disaffezionato e poco capace, non riesce a concentrarsi per un tempo adeguato e si stanca molto presto. Anche “da un punto di vista intellettuale” questo bambino sembra lontano dal condurre le sue esplorazioni da solo: dipende dall’adulto, fa tantissime domande e chiede continuamente che gli vengano raccontate storie. Montessori dice che ha molta fantasia[4], aspetto che colpisce molto gli adulti che valorizzano in svariati modi riconoscendola come un tratto tipico della natura infantile.

Chiamando poi a raccolta “i Montessoriani”,[5] la dottoressa dà spazio alla descrizione dell’altra natura, una natura profonda e nascosta cui attribuisce un carattere di autenticità. La vera natura del bambino per Montessori è questa seconda, perché è quella che più si avvicina alle tendenze umane di cui parlerà esplicitamente Mario Montessori in “Human tendencies in Montessori education”, quelle inclinazioni che caratterizzano la natura umana dai tempi della sua origine, che sono tali a prescindere dalla cultura e che fanno dell’uomo quello che è[6]. E come ha fatto con la “prima natura” ci descrive anche questo bambino. Si tratta di un bambino che ama lavorare e che non prova fatica nel farlo, che riesce a concentrarsi, che ricerca l’esattezza del lavoro nella ripetizione, che controlla il movimento in modo ordinato, che non è mosso dalla difesa per il possesso ma apprezza stare insieme agli altri e condividere. Ci parla di un bambino poco interessato ai giocattoli, al cibo, ai dolciumi e non conquistabile facilmente con premi. Il bambino “nascosto” è un bambino che chiede poco l’aiuto dell’adulto, che non elemosina continuamente storie né fa sempre domande, che non dice bugie né sembra in preda a mille paure[7].

La dottoressa ci dice, però, che ci sono due condizioni che hanno permesso sua scoperta. Le trovo entrambe interessanti per guidarci, anche oggi, nel nostro lavoro con i bambini o nel nostro essere genitori.

La prima. “Sicuramente io ho fatto la mia parte, ma lasciate che vi spieghi cosa è successo con un paragone” e sceglie la macchina fotografica per farci comprendere il cuore di quello che le è successo. “It is not the machine that create the object, it registers its image”[8]. Lei è riuscita a cogliere questa seconda natura del bambino esattamente come una macchina fotografica cattura l’immagine di ciò che viene inquadrato: è riuscita a vedere grazie alla sua preparazione scientifica che l’ha resa capace di percepire, di accorgersi e di vedere qualcosa che esisteva già. Insiste molto nel dire che lei non ha creato niente ma si è semplicemente accorta di questa “seconda natura”. Si tratta di prepararci ad accorgerci, a guardare bene per poter vedere. L’osservazione è il cuore del metodo ma non siamo sufficientemente pronti ad osservare perché siamo pieni di pregiudizi sul bambino. A volte stiamo in ambiente certi di sapere già tutto ciò che lo riguarda: perché fa quello che fa, il lavoro di cui ha bisogno, i compagni con cui gli fa bene stare e quelli che no, quanto mangiare e cosa. E poi, abbiamo fretta. Fretta di arrivare alle conclusioni. Di sapere cosa fare con le migliori intenzioni. È bello tornare alla metafora che usa: una macchina fotografica. È provocatorio: noi siamo umani, non siamo una macchina. È vero ma possiamo partire da questa metafora per avviare una necessaria e urgente riflessione sulla nostra personale attitudine ad osservare il bambino e il suo lavoro.

La seconda. Sceglie poi un’altra metafora per accompagnarci ancora un pezzettino oltre: “One who discovers electricity has not created electricity. What the discoverer has the the power to do is to reproduce the conditions for the repetition of the phenomena he has seen. He does so because he understand what produces them”[9]. E ancora “Once first seen, these psycological phenomena could not be passed by. They made such an impression upon me that I was filled with the deside to see if it was possible to have them prepared”[10]. Lei stessa ci dice che questa è la vera essenza di ciò che tutti chiamano “metodo” Montessori: creare le condizioni per cui nel bambino possa emergere questa seconda natura che è quella autentica[11]. E così ci racconta cosa ha fatto: ha accolto 40 bambino “poveri e analfabeti” dai tre i sei anni che passavano il tempo “a sporcarsi e ad imbrattare i muri di casa”. Ci dice che l’intento di chi l’aveva ingaggiata non era di educare quei bambini (in quanto maestra) ma di prendersene cura (in quanto medico) per sollevarli da una condizione di malnutrizione, degrado e deprivazione. Ci dice anche chi aveva scelto come sue assistenti in questa opera: non maestre ma una pellicciaia e una sarta alle quali aveva dato una sola raccomandazione “do exactly what I told them to do”[12]. Infine, ci svela le condizioni della manifestazione di questa seconda natura. I bambini non erano in alcun modo influenzati dai loro genitori che erano troppo impegnati a lavorare per garantire alla famiglia la sopravvivenza. Dice di aver avuto fin dall’inizio l’intenzione che con i bambini ci fossero adulti che in nessun modo impartissero direttive di alcun genere. E per inciso non si esime dal ricordarci come una cosa sia dire che si lascia i bambini liberi e tutt’altra cosa sia riuscire a farlo veramente (sic!).

Trovo tutta questa descrizione incredibilmente attuale: mi sembra sia solo necessario riuscire a vedere tra le righe il nostro bambino di oggi rispetto al suo di allora. E così racconta di come i bambini provassero una soddisfazione interiore profonda nel lavarsi le mani, soddisfazione che andava ben oltre al constatare che le mani fossero pulite. Montessori sente come se i bambini stessero sperimentando “un risveglio interiore”. Parla poi di pulizie dell’ambiente e degli oggetti, di pettinarsi e di vestirsi e allacciarsi i bottoni e della possibilità che aveva chiesto venisse garantita di ripetere le operazioni ben oltre quello che per un adulto poteva essere il necessario[13]. È così facendo che si è palesata agli occhi di Montessori questa seconda natura: “Il loro comportamento ci ha rivelato una verità fondamentale e cioè che il bambino lavora per il suo sviluppo interiore e non per raggiungere un certo obiettivo e che quando il lavoro è finito il bambino in realtà non ha sviluppato una particolare competenza ma ha sviluppato qualcosa di sé stesso”.

E questo “qualcosa di sé stesso” può essere visto a ragione veduta come l’emersione o, “il risveglio” del bambino che allora era assopito nell’abbandono e nella deprivazione oggi sembra soffocato da un interesse distorto e da eccessive aspettative.


[1] Maria Montessori, “Citizen of the world”, AMI, Chapter 1 “The two nature of the child”.

[2] La parola che Montessori usa è “discovery” in contrapposizione a “research” dove per ricerca intende l’atteggiamento di chi sa già cosa sta cercando mentre per scoperta intende quella manifestazione inaspettata, che nessuno avrebbe potuto immaginare e quindi nemmeno cercare.

[3] Alla parola “greediness” attribuirei un significato più letterale che va nella direzione di golosità, ingordigia di cibo ma anche un significato più figurato di insaziabilità e scontentezza. In riferimento al primo, nel capitolo III di “La scoperta del bambino” Montessori dice così facendo riferimento alla golosità e a come questa caratteristica scomparisse con quell’elevazione che riporta il bambino alla sua vera natura, la “seconda natura” appunto:” avevo creduto anch’io che per spingere il bambino ad uno sforzo elevato di lavoro e di tranquillità fosse necessario incoraggiare con un premio esteriore i suoi più bassi sentimenti come la ghiottoneria, la vanità e l’amor proprio. E fui io pure stupita, constatando poi che il bambino a cui è permesso di elevarsi abbandona spontaneamente i suoi più bassi istinti”).

[4] Montessori usa la parola “imagination” ma poi la collega subito alla tendenza a personificare qualunque cosa. Pensando a quanto invece per Montessori sia fondamentale l’immaginazione come facoltà della mente nel bambino del secondo piano di sviluppo, ho pensato di tradurlo meglio con “fantasia” invece che con “immaginazione” che Montessori radica nella realtà.

[5] Mi pare di sentire come ad un certo punto, la dottoressa Montessori esplode con quel “We, Montessorian” con cui sembra chiamare a raccolta tutti quegli adulti che hanno già scoperto o stanno scoprendo il bambino come ha fatto lei.

[6] Per tendenze umane intendiamo l’esplorazione, l’orientamento, l’osservazione, l’ordine, l’immaginazione, l’astrazione, il movimento, l’esattezza, il lavoro, l’attività, la manipolazione, la ripetizione, l’auto-perfezionamento e la comunicazione. Sono caratteristiche innate nell’uomo che affondano le loro radici nella storia stessa dell’uomo e che accomunano la specie umana

[7]Ho riportato quasi integralmente tutte le caratteristiche che Montessori cita nel testo: lascio poi a ciascun lettore di riconoscersi nelle sue parole o di dissentire pensando che non sia così netta l’attribuzione di qualche caratteristica ad una natura piuttosto che ad un’altra.

[8] “Non è la macchina fotografia a creare l’oggetto. Semplicemente ne cattura l’immagine”.

[9] “Chi scopre l’elettricità non l’ha inventata. Ciò che può fare però è riprodurre le condizioni per cui il fenomeno si è manifestato. Riesce a farlo perché ha capito le condizioni che rendono possibile quel fenomeno”.

[10] “Una volta osservati, questi fenomeni psichici non possono essere tralasciati. Sono rimasta così impressionata che ho sentito il desiderio di capire se fosse possibile preparare le condizioni perché si ripetessero”.

[11] Per avere un quadro di riferimento in questa direzione, può essere utile la lettura di “The four planes of education” di Maria Montessori che compare nella raccolta “Citizen of the world”, pubblicata da AMI e di “Human tendencies and Montessori education” di Mario M. Montessori che si può trovare anch’esso tra le pubblicazione di AMI.

[12] “Fare esattamente quello che gli dicevo di fare”.

[13] Montessori dice “Dopo che avevano pulito gli oggetti, andavano avanti facendolo ancora e ancora tanto da intaccare la vernice degli stessi!”.

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