Il silenzio

C’è un tempo per il lavoro, per il movimento e per la conversazione. E c’è un tempo anche per il silenzio, quello che fa bene.

A scuola siamo abituati a ordinare il silenzio con un comando. Il repertorio è standard: “State zitti e fermi, bambini!” oppure “Silenzio, per favore!” che con rito abbreviato diventano “Sss!”. Salvo il fatto che spesso ogni tentativo sia inutile e la situazione degeneri come ciascuna può facilmente immaginare.  

 “Mentre il silenzio può intendersi in modo positivo come uno stato superiore al normale ordine delle cose. come una inibizione istantanea che costa uno sforzo, una tensione della volontà e che distacca dai rumori della vita comune quasi isolando l’anima dalle voci esteriori”[1].

Intanto, anche per noi adulti, non è scontato conoscere il valore del silenzio né saperlo fare. A lezione, quando ho terminato tutte le operazioni necessarie al mio lavoro, mi fermo in piedi davanti agli adulti che ho di fronte. Li guardo un po’ per ambientarmi, resto in silenzio a guardarli e attendo che si accorgano di me, che terminino tutti gli accomodamenti necessari a sentirsi pronti anche loro per iniziare. Ci vuole un po’ di tempo: anche per loro è difficile resistere all’ultima parola, qualcuno deve ancora prendere il fazzoletto, riporre il telefono nella borsa o bere un ultimo sorso di acqua. Ho imparato ad attendere, restando in silenzio. C’è un po’ di imbarazzo perché non dico nulla, non chiedo a parole il silenzio e nemmeno l’attenzione. Semplicemente lo faccio. Sento che il messaggio arriva forte: non è sufficiente smettere di parlare, ma serve decidere tutti insieme di stare fermi. Allora si stente arrivare il silenzio. Ci rimaniamo un momento, entriamo in contatto. Poi iniziamo la nostra lezione.

Montessori invita le maestre a fare lo stesso: insegnare ai bambini a fare silenzio.

I bambini all’inizio sono stupiti, vivono questo invito come qualcosa di curioso un po’ strano ma credo che la maestra che fa silenzio desti in loro una particolare attenzione e che sia quella a convincerli ad imitarla, non l’invito verbale né tantomeno il comando. Fanno fatica, certo: il bambino non è nato per stare fermo e nemmeno per stare zitto. Vanno aiutati a comprendere che si sta chiedendo loro uno sforzo della volontà nell’inibire ogni movimento, anche il più piccolo. E lo si chiede a tutti contemporaneamente. Mi piace guardarli nel fare questo esercizio perché si vede la tensione che ci mettono, la fatica che fanno a controllarsi: mi fanno tenerezza quei movimenti che scappano proprio perché non si è ancora allenati, quell’imbarazzo che porta a dire una parola al compagno anche se non si dovrebbe. Serve tanta pazienza alla maestra, serve accogliere ogni bambino per quello che riesce a dare giorno dopo giorno: se vogliamo insegnare davvero il silenzio, bisogna esercitarsi ogni giorno perché al silenzio assoluto si arriva per gradi.

Ma l’esercizio è dolce perché nelle pieghe di questo silenzio si nascondono tante cose. montessori lo racconta benissimo ne “La scoperta del bambino” al capitolo VIII “Distinzioni visive e uditive”: verso la fine c’è un paragrafo dedicato proprio al silenzio con il racconto di quella sua emblematica lezione.

L’inibizione è una funzione esecutiva del cervello importante nello sviluppo di una persona: invitare un bambino a praticare il silenzio significa chiedergli di porre un freno alla sua spontaneità e a mettere quindi a punto quindi una nuova abilità che potrà poi usare in altri contesti.

Il successo dell’esercizio è dato da una conquista di volontà collettiva: la maestra e i bambini lavorano insieme, tendono insieme alla realizzazione di un’azione comune che è appunto quella di stare immobili. Si sente in quel momento una speciale connessione, quasi una “complicità” tra i partecipanti perché tutti sanno, bambini e maestre, che il silenzio che si desidera è possibile solo con lo sforzo di tutti.

Il lavoro sembra trarne giovamento: diverse maestre mi hanno fatto notare che i bambini, dopo gli eserciti di silenzio, lavorano più concentrati e per un tempo maggiore e che più facilmente, durante la giornata, si lasciano condurre alla quiete quando la confusione rende necessario un richiamo al silenzio. Questo significa anche che il bambino si sta disciplinando.

“Allora, in una stanza vicina dietro ai bambini, attraverso la porta spalancata, chiamavo a voce afona, ma strisciando le sillabe lungamente, come si chiamerebbe qualcuno attraverso le montagne, e questa voce quasi occulta sembrava che giungesse al cuore dei bambini e chiamasse la loro anima”. Mi piace pensare a quella voce della maestra che il bambino impara ad ascoltare nel silenzio come qualcosa di prezioso. Insegnare il silenzio e poi viverlo quotidianamente è stata in tutte le classi in cui ho lavorato una parentesi di intimità che mi ha sempre aiutata a costruire una relazione profonda e speciale con i bambini. Quando torniamo a lavorare, mi sembra che la mia voce, pur bassa e pacata, arrivi meglio, forse perché hanno imparato a distinguerla bene tra le altre voci.


[1] M. Montessori “La scoperta del bambino”, Milano, Garzanti, 1999 (capitolo VIII, pag. 151)

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