Le cose chiedono tempo

Condivido qualcosa che oggi, a lezione, mi ha fatto sostare su un atteggiamento che si dimentica.  Kyla Morenz ci ha proposto l’immagine del bamboo[1] e ha fatto della sequenza della sua crescita nel tempo l’icona di qualcosa che spesso non fa parte del nostro repertorio di adulti: la pazienza.

Se pensiamo al bamboo, c’è un “sotto” e un “sopra” la linea della terra. Una parte dello sviluppo del bambino ma anche dell’adolescente non ci è visibile, sta “sotto”: quando si manifesta qualunque nuova acquisizione (in direzione dell’essere, del sapere o del saper fare), questa ha richiesto un lavoro che noi non abbiamo visto, un lavoro incessante di costruzione interiore e profondo. Dopo cinque anni di crescita lenta, il bamboo sembra esplodere nelle settimane successive: Montessori ha sempre detto che queste “esplosioni” in realtà non hanno una natura improvvisa ma sono accadimenti che nel hanno richiesto al bambino un lavorio costante nel tempo ma fatto anche di regressioni e fallimenti. Montessori ci ricorda che ogni abilità complessa è sempre riconducibile ad abilità più semplici che si sono sviluppate separatamente e che magari sfuggono al nostro sguardo perché siamo concentrati ad aspettare altro. Sarà poi il bambino che, quando è il momento giusto per lui, combina le singole abilità raggiungendo quelle competenze più complesse che possono essere il linguaggio, la scrittura, lo svolgimento di un’operazione, la realizzazione di un disegno ma anche la capacità di autocontrollo e la disciplina, la comunicazione, la concentrazione, la flessibilità, il problem solving.

Ma cosa mi suggerisce questo bamboo?

Intanto possiamo prepararci. Montessori ci offre i “piani di sviluppo” nei quali si prendono in considerazione le caratteristiche del bambino da un punto di vista psicologico, fisico, intellettuale, sociale ed emotivo. Facendoci riflettere sulle caratteristiche del bambino in ciascuno delle sue età, la Dottoressa ci invita a preparare lo sguardo per poter cogliere quelle manifestazioni dei bambini indispensabili nell’orientare la preparazione dell’ambiente e il nostro comportamento. Ma se ci fa notare come “il valore della media rappresenta anche un riferimento per lo studio dei singoli casi”[2], ci ricorda allo stesso tempo che ciascun singolo bambino per noi è una singolarità imprevedibile: c’è un “segreto”, c’è comunque sempre qualcosa che sta “sottoterra”, che sfugge al nostro sguardo e che rende la storia di ogni bambino che incontriamo unica e bisognosa di attenzione.

E poi, possiamo allenarci a sospendere il giudizio quando osserviamo i bambini: essere consapevoli che non possiamo farci guidare dall’idea che ci facciamo del bambino ma da quello che succede, da quello che il bambino fa e dice e che noi possiamo realmente osservare[3]. Montessori ci invita a non aver fretta di trarre le conclusioni ma ci esorta ad accettare di restare in sospeso anche di fronte ad un problema, ad un comportamento difficile: osservare per un tempo sufficientemente significativo, attendere con fiducia, rallentare o tornare indietro anche se questo significa non risolvere subito ma sostenere una situazione di disagio come facente parte integrante del processo educativo.

Possiamo anche rallentare. Zavalloni dice che “l’idea di perdere tempo, dell’attendere pazientemente che un ciclo si compia, è caratteristica del lavoro del contadino, della terra e della campagna. A ben pensare, nel lavoro dei campi non esistono pause che non siano feconde: il tempo perso in realtà è un tempo biologicamente necessario, che si riempie spesso di attività di preparazione a eventi ciclici come sono i raccolti o le semine”[4]. Trovo interessante affiancare il lavoro dei maestri con quello dei contadini. In educazione i tempi sono lenti: a scuola c’è spesso fretta, anche in alcune scuole Montessori. C’è fretta di registrare l’arrivo di tutte quelle caratteristiche del “bambino Montessori” o della “scuola Montessori” così siamo tranquilli che abbiamo fatto bene il nostro lavoro, che siamo bravi maestri. Così facendo tutto il sistema ricade sotto lo scacco dell’aspettativa e del risultato atteso.

È nel tempo che riusciamo a capire cosa sta succedendo: non è significativo quello che succede in un’ora, in un giorno o in una settimana. Occorre darsi un orizzonte lungo e sufficientemente comodo per poter comprendere una tendenza fatta di giornate che non funzionano come di giornate che funzionano meglio. La crescita è un percorso graduale che è fatto di momenti in cui l’avanzare è così lento e nascosto che sembra non succedere nulla di significativo.

Allora facciamo tesoro di questa metafora. Le cose chiedono tempo.


[1] Sul web sono disponibili diverse immagini “motivazionali” che non riporto per una questione di copyright ma che potete tranquillamente andare a cercare. Non me ne vogliano botanici&co: so che è una immagina motivazionale, che ciascuna crescita richiede tempo. Ma resta che questa immagine mi ha colpito e pertanto al condivido come emblematica. Oltre ad essermi risultata simpatica perché ne ho, del tutto casualmente, un esemplare sulla mia scrivania.

[2]“Tutto quello che dovresti sapere sul tuo bambino”, Maria Montessori 1961, garzanti, pag. 34.

[3] E per “realmente” intento proprio nella realtà dei fatti. Osservare e raccogliere usando verbi e non aggettivi ci aiuta molto. Nell’aggettivo sta già un nostro giudizio mentre se vogliamo osservare lungamente per poi riflettere su quanto osservato, proviamo a stare sui fatti e a non affrettarci a “diagnosticare” oltretutto uscendo anche da ciò che ci compete che è creare le condizioni perché ogni bambino possa esprimere il suo massimo potenziale.

[4] G. Zavalloni, “La pedagogia della lumaca”, edizioni EMI, pag. 20-21

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